Cannabis light shop, prodotti vendibili solo se non «droganti»

Cannabis light shop, prodotti vendibili solo se non «droganti»

Cannabis Light. Le sezioni penali unite della Cassazione rivelano il bag della legge del 2016 che legalizza la coltivazione, non la commercializzazione. A stabilire se il prodotto è fuori legge sarà di volta in volta il giudice di merito, senza parametri numerici

«La commercializzazione di cannabis sativa legale e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53 Ce del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati».

Il verdetto emesso ieri dalle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione, dopo un’udienza tenuta a porte chiuse, rischia di mandare in pezzi un settore di sviluppo commerciale in piena espansione, che dà occupazione soprattutto a molti giovani.

In sostanza, il massimo consesso della Suprema corte – chiamata ad esprimersi sul sequestro dei prodotti di due negozi marchigiani (ad Ancona e a Macerata, la cui chiusura come si ricorderà ha fatto gioco alla campagna elettorale di Matteo Salvini) e a fare ordine nel «contrasto giurisprudenziale» creato dopo che altre sezioni della stessa Cassazione (la III penale, la VI e la IV) avevano emesso sentenze contrapposte – evidenzia un bag nella legge che ha permesso l’apertura di centinaia di cannabis light shop in tutta Italia.

LE SEZIONI UNITE PENALI, presiedute da Domenico Carcano, sottolineano infatti che la legge 242/2016 legalizza solo la coltivazione di cannabis sativa con un Thc al di sotto della soglia dello 0,6% e non la commercializzazione dei prodotti da essa derivati (cosa che, secondo alcune precedenti sentenze, risulterebbe invece superfluo perché «è nella natura dell’attività economica che i prodotti della “filiera agroalimentare della canapa”, che la legge espressamente mira a promuovere, siano commercializzabili»).

Stando però così le cose, nella visione dell’organo massimo della Cassazione, la detenzione e la cessione di cannabis – anche quella che è legale coltivare – rientra nelle azioni che possono costituire reato o meno a seconda dell’«efficacia drogante» della stessa. Scrivono infatti i giudici nella sentenza di ieri: «Integrano il reato di cui all’art.73, commi 1 e 4 del dpr 309/1990 (il testo unico sulle droghe, ndr), le condotte di cessione, di vendita e in genere la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa legale, salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante».

COSA VUOL DIRE in concreto? Che d’ora in poi sarà il giudice di merito a stabilire di volta in volta se il prodotto commercializzato, eventualmente messo sotto accusa, abbia una «efficacia drogante» superando così la soglia consentita (non più stabilita da un parametro numerico). Le conseguenze sui negozi di cannabis light non dovrebbero essere dirette ma è evidente che la commercializzazione di questo tipo di prodotti diventa notevolmente più a rischio per l’esercente. Nello stesso verdetto di ieri infatti la Cassazione ha accolto il ricorso del pm di Ancona contro la decisione del Tribunale del Riesame di annullare il sequestro di merce dei due negozi, e ha rinviato a nuovo processo.

È quanto aveva chiesto in subordine la procura generale che però sperava nella trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Un atto al quale però si è opposta la difesa, rappresentata dall’avvocato Carlo Alberto Zaina, che vedeva nel rinvio alla Consulta il protrarsi di «una situazione di assurda incertezza». Secondo la pg Maria Giuseppina Fodaroni, invece, il sistema legislativo attuale – nel combinato disposto della legge 242/2016 e del dpr 309/1990 con le tabelle emendate dopo che nel 2014 la Consulta ha cancellato la legge Fini-Giovanardi – non è chiaro sulla cannabis light, e può creare confusione riguardo le condotte suscettibili di sanzioni.

NATURALMENTE, la sentenza degli ermellini è stata accolta con entusiasmo dalle destre proibizioniste, a cominciare dal ministro della Famiglia Lorenzo Fontana che ha espresso «soddisfazione». E anche il vicepremier Matteo Salvini ha esultato affermando: «Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano». La Coldiretti invece ha fatto notare che negli ultimi cinque anni i terreni coltivati a cannabis sativa in Italia sono aumentati di 10 volte: dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4000 del 2018. E dunque ora si rende «necessario l’intervento del Parlamento».

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