Cannabis Light: l'erba leggera che piace a tutti (ma non a Salvini)

Cannabis Light: l'erba leggera che piace a tutti (ma non a Salvini)

Breve storia della Cannabis

La pianta della Cannabis, anche nota come marijuana o ganja, vanta origini molto antiche. Questa specie floristica rappresenta, inoltre, un caso unico al mondo: è, infatti, usata come fibra, ma vengono anche sfruttate le sue proprietà psicoattive.
La sua coltivazione pare risalire a circa 10mila anni fa e un’ulteriore conferma di ciò arriva dai reperti ritrovati sull’isola di Taiwan, e in alcune caverne dell’odierna Romania.
La cannabis veniva, infatti, impiegata, fin dai tempi più remoti, per scopi di diversa natura: gli Ariani la fumavano, i cinesi, come attestato da un trattato di farmacologia firmato dall’Imperatore Shen Nung, la usavano in medicina, i Greci la commercializzavano, gli Sciti la vaporizzavano e i Fenici vi realizzavano le vele delle loro navi.
La marijuana sembra, invece, essere arrivata in Europa circa cinque secoli prima di Cristo: a Berlino all’interno di un’urna, risalente a 2.500 anni fa, sono state, infatti, trovate tracce di semi e foglie di questa pianta; la sua diffusione è stata molto rapida e nel 1484 una bolla papale ne ha vietato, anche se con scarso successo, l’uso da parte della popolazione.
Il suo consumo divenne una vera e propria moda tra gli intellettuali e, infatti, a Parigi venne fondato il club dei Mangiatori di hashish di cui facevano parte scrittori e poeti come Victor Hugo, Alexander Dumas e Charles Baudelaire.
Non si possono, infine, dimenticare la carta di canapa, usata per stampare la Bibbia di Gutenberg e la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, le vele delle caravelle di Cristoforo Colombo e le innumerevoli piantagioni sparse per l’America.

Una pianta di Cannabis vista dal di fuori

La pianta fa parte della famiglia delle Cannabaceae a cui appartengono due soli generi: l’Humulus (luppolo) e la Cannabis; da quest’ultima si ricavano alcune sostanze allucinogene, come l’hashish e la marijuana, e la canapa, una delle fibre più celebri in tutto il mondo.
La Cannabis, specie floristica a ciclo annuale, ha un’altezza compresa tra 1,5 e 2 metri, ma alcuni esemplari possono anche arrivare a sfiorare i 5.
Presenta una radice fittonante (elemento principale di grandi dimensioni da cui dipartono tante piccole diramazioni) e un fusto fine, eretto e ramificato. Le foglie, picciolate (il picciolo è la parte che unisce l’estremità della foglia al ramo) e lobate-palmate, sono, invece, costituite da un numero variabile (compreso tra 5 e 13) di tanti piccoli elementi e hanno un margine dentato-seghettato.
Questa pianta si definisce, inoltre, dioica perché gli organi riproduttivi maschili e femminili, stami e pistilli, sono localizzati su arbusti di sesso diverso. I fiori maschili (staminiferi), organizzati in pannocchie, sono situati in corrispondenza delle ascelle delle foglie, e ciascuno di essi è formato da 5 tepali, fusi alla base, e 5 stami.
Quelli femminili (pistilliferi) sono, invece, raggruppati in gruppi di 2-6 alla base delle brattee (foglie trasformate che accompagnano fiori e infiorescenze) da cui hanno origine corte spighe; in ciascuno di essi si distingue una membrana, a forma di calice, che avvolge un ovario sormontato da 2 stili (sono il naturale prolungamento dell’ovario e culminano negli stimmi) e 2 stimmi (elementi coinvolti nell’impollinazione).
Entrambi i fiori sbocciano nel corso dell’estate, mentre l’impollinazione è anemofila (avviene grazie all’azione del vento).
I frutti, che si presentano come degli alcheni duri dalla forma rotonda-ovale, fanno la loro comparsa durante la stagione autunnale, contengono un unico seme e la loro colorazione è un misto tra il verde oliva, il marrone scuro e il rossiccio.

Quante varietà di Cannabis esistono?

In materia esiste un’ampia controversia: alcuni studiosi parlano, infatti, di tre specie distinte, mentre per altri esiste, invece, un’unica specie con più varietà. L’ultima asserzione, in particolare, parte dal presupposto secondo il quale tutte le piante di Cannabis possiedono uguali caratteristiche morfologiche, chimiche e di sviluppo e ciò che le contraddistingue, le une dalla altre, è la zona dove crescono, l’altitudine, le proprietà del terreno e molto altro ancora.

Si distinguono, al di là delle discussioni, tre diverse specie:

  • Cannabis Sativa: è certamente la più conosciuta, cresce in Asia, America e Africa e può raggiungere, se non viene potata, i 5 metri d’altezza.
    Il suo aspetto è il frutto del costante adattamento alle condizioni atmosferiche, in particolare all’umidità: la pianta appare, perciò, meno compatta e il periodo di fioritura si può protrarre anche per quattordici settimane. Le foglie, verde chiaro, sono grandi e hanno una forma allungata che ricorda le dita della mano.
  • Cannabis Indica: arriva da luoghi come il Pakistan e l’India e si è, quindi, adattata a climi più secchi e aridi. Tutto ciò si ripercuote sulla sua morfologia: è più bassa e tarchiata, le sue foglie sono più scure e larghe e i suoi fiori formano tanti piccoli grappoli.
  • Cannabis Ruderalis: le sue terre d’origine sono la Siberia e il Kazakistan, dove le ore di luce sono molte poche e la fioritura non dipende, perciò, da esse. Assomiglia a un piccolo cespuglio che cresce, molto velocemente, in tutte le direzioni possibili, ma non raggiunge stature elevate (massimo 90 cm); le foglie sono molto strette e i fiori sono minuscoli.

I principali principi attivi della Cannabis

La Cannabis o canapa annovera tra i suoi componenti ben 80 cannabinoidi e tra questi vi sono il Cannabidiolo (CBD) e il Tetraidrocannabinolo (THC) che è, senza ombra di dubbio, quello maggiormente conosciuto e ricercato dagli amatori della Cannabis.

Il THC è anche noto come delta-9-tetraidrocannabinolo ed è concentrato nelle foglie e nel fiore della pianta; a esso sono associati gli innumerevoli effetti psicoattivi che rendono la canapa illegale in molti Paesi.
Quest’ultima, allo stato grezzo, non contiene THC, ma bensì una sostanza non psicoattiva meglio nota come THCA (acido tetraidrocannabinolico) che si trasforma in THC nel corso del processo di essiccazione, durante il quale il calore si comporta come una sorta di catalizzatore perché accelera tale mutamento.

Il Tetraidrocannabinolo si lega, nell’organismo, ai recettori delle cellule nervose determinando, così, il rilascio di dopamina (neurotrasmettitore prodotto dal cervello meglio noto come ormone dell’euforia). Gli effetti che si registrano dipendono dalla concentrazione del cannabinoide, si palesano entro trenta minuti dalla sua assunzione e possono durare anche più di due ore; i principali comprendono sensazione di euforia, aumento dell’appetito, prostrazione, rilassamento, percezioni uditive alterate e disorientamento nello spazio e nel tempo.
Diversi studi hanno, inoltre, dimostrato l’efficacia di questa sostanza in campo medico: può, infatti, essere utilizzata con successo per trattare patologie di natura diversa e lenire il dolore ad esse associato.
Il contenuto di THC nella Cannabis Sativa si attesta intorno all’1-2% (in condizioni ottimali può arrivare a toccare punte del 5%), nell’Indica può raggiungere picchi oltre il 25%, mentre nella Ruderalis si registrano percentuali molto basse. Nella canapa legale la percentuale di THC invece non può superare lo 0,6%.

Il CBD, cannabinoide non psicoattivo della Cannabis, svolge una duplice funzione: prolunga l’azione analgesica del THC e, nello stesso tempo, combatte gli effetti indesiderati che lo stesso produce su battiti cardiaci, respirazione e temperatura corporea.

Breve raffronto sugli effetti indotti dal consumo di THC e CBD

Il THC annovera tra i tanti effetti collaterali ansia e paranoia, mentre questi non sono associati, come confermato da diversi studi, al CBD.
I consumatori di THC accusano, altresì, i chiari segni della psicosi e questi possono essere combattuti mediante il CBD che ha poteri antipsicotici.
Alte concentrazioni di THC possono, inoltre, favorire il sonno, mentre ciò non accade se si consumano prodotti con percentuali importanti di CBD perché quest’ultimo agisce, infatti, in modo diametralmente opposto stimolando la veglia.

Che cos’è la Cannabis light?

La Cannabis leggera, meglio nota come light, è il prodotto delle infiorescenze femminili della Canapa Sativa: vengono, infatti, selezionate quelle che racchiudono concentrazioni minime di THC (sotto allo 0,2% e tollerata fino allo 0,6%) ed elevate di CBD. Si tratta, quindi, di una sostanza non stupefacente che si differenzia da tutte quelle che presentano, invece, alti livelli di Tetraidrocannabinolo e sono, perciò, usate per scopi terapeutici, ameni e illegali.

A prima vista ha lo stesso aspetto della marijuana e solo un’analisi chimica consente, quindi, di discernere la Canapa legale da quella non legale venduta sul mercato nero.
La Cannabis light viene fumata anche se questo resta a tutti gli effetti di legge un illecito, mentre può essere impiegata in cucina per la preparazione di bevande e alimenti di vario tipo.

Il suo consumo con i vaporizzatori permette, infine, di contenere i rischi associati alla combustione.

Secondo le linee guida stabilite dalla normativa vigente la Cannabis light può essere reperita su tutto il territorio nazionale ma non allo scopo di uso ricreativo; il 2016 è stato, per l’Italia, l’anno della svolta perché ha riportato alla luce, lungo tutto lo stivale, la coltivazione della canapa.

Il fenomeno ha, però, avuto inizio in Svizzera, dove la marijuana legale viene venduta, al posto del tabacco, in confezioni analoghe a quelle che contengono le classiche sigarette.
Questo trend non è così sfuggito a molte aziende agricole che hanno, infatti, avviato l’iter e presentato formale richiesta per poter produrre le note infiorescenze di canapa.

Cannabis: cosa dice nel dettaglio la normativa

L’Italia è stata, fino alla Seconda Guerra Mondiale, una delle nazioni dove si produceva più canapa. Questa realtà è, poi, andata totalmente in frantumi perché si è verificata la sovrapposizione di due diversi rami: quello legale associato al settore agricolo e l’illegale collegato, invece, al traffico di stupefacenti.
La promulgazione della Legge 242/2016 ha mutato radicalmente le cose e ha sancito, infatti, la liceità della coltivazione e della vendita di Cannabis con percentuali del principio attivo, THC, comprese tra lo 0,2 % e lo 0,6%.

La normativa presenta, però, diversi vuoti in quanto, allo stato attuale, si rivolge principalmente agli agricoltori.
Sono stati, inoltre, stabiliti i possibili ambiti di applicazione della canapa (articolo 2), ma la sua compravendita a uso personale è stata vietata.
Fumare Cannabis light costituisce, pertanto, un reato e questo è perseguibile con una sanzione amministrativa; in caso di recidive è, infine, previsto il ritiro della patente di guida e del passaporto.

Proprietà e benefici della Cannabis light

La canapa leggera può considerarsi tale se e solo se sussistono le seguenti condizioni:

  • percentuale di THC inferiore allo 0,2% (con una soglia di tolleranza fino allo 0,6%);
  • percentuale di CBD fino al 4%.

Si ricava, come già accennato, dalla Cannabis Sativa che è stata oggetto, nel tempo, di svariati studi botanici e successive sperimentazioni al fine di ottenere un prodotto con effetti, praticamente, nulli sulla psiche.
Esistono, di fatto, due tipi di Cannabis Light che si differenziano tra di loro per il contenuto, rispettivamente, più basso e più alto di CBD.

La marijuana legale a elevato tasso di Cannabidiolo produce, in particolare, effetti miorilassanti, antiepilettici, antinfiammatori e antiossidanti; la sensazione di tranquillità che il soggetto può avvertire è, invece, frutto del tasso trascurabile di THC.
Il suo consumo non induce, inoltre, i tanto temuti effetti psicotropi, non causa ebbrezza e nessun tipo di paranoia.
Il CBD, contenuto in alte percentuali, rende inoltre il prodotto un valido alleato contro l’emicrania, i dolori mestruali e i fastidi a carico delle articolazioni; le basse concentrazioni di THC favoriscono, altresì, lo stato di veglia e il soggetto rimane, di conseguenza, vigile.

Secondo gli esperti non bisogna, però, sottovalutare il nesso esistente tra la sostanza, le caratteristiche intrinseche del consumatore e le modalità di assunzione.
È, inoltre, necessario considerare che i cannabinoidi sono presenti, nella pianta, in forma carbossilata (o non attiva) e in quanto tali non possono, perciò, provocare alcun effetto sul sistema nervoso.

Il consumo della Cannabis light richiede però, molto spesso, il riscaldamento della sostanza che comporta, quindi, l’attivazione dei cannabinoidi: alla luce di ciò sarebbe, perciò, auspicabile rivalutare, in fase d’uso, le concentrazioni di THC al fine di stabilire in modo più preciso la risposta del cervello.

Gli effetti, in linea generale, si palesano nell’arco di qualche minuto se il prodotto viene fumato, mentre in caso di ingestione i tempi sono più dilatati. I medesimi hanno, inoltre, una durata variabile: nel primo caso regrediscono entro quattro ore, nel secondo sono, invece, indispensabili fino a quattordici ore.

Rischi e controindicazioni

La Cannabis light non presenta, in virtù della sua composizione, particolari effetti collaterali. Non possono, però, essere trascurati i rischi associati alla combustione e tra questi si annoverano neoplasie maligne e disturbi a carico dell’apparato cardiovascolare e respiratorio.
L’abuso di quantità elevate di CBD non è, però, consigliato alle donne in stato interessante perché pare possa ripercuotersi negativamente sulla placenta, inficiandone la funzionalità.
La Cannabis light associata al tabacco può, inoltre, indurre nel soggetto una forma di dipendenza nota come tabagismo.

Una particolare attenzione deve essere, infine, riservata alla guida di veicoli: il Cannabidiolo (CBD) ha effetti trascurabili sulle capacità di guida, ma nella marijuana legale sono, comunque, presenti alcune tracce di THC che possono essere rilevate nel corso di un controllo; l’individuo può, perciò, risultare positivo al test ed essere dichiarato inabile alla guida.
L’assunzione di Cannabs light è, invece, da evitare in caso di disturbi cardiaci e/o respiratori.

Cannabis vs oppiacei e allucinogeni

È, infine, doveroso fare una breve disgressione per sottolineare il fatto che la cannabis non appartiene alla famiglia degli oppiacei e degli allucinogeni.

I primi derivano, infatti, dagli alcaloidi dell’oppio che sono, a loro volta, contenuti nella resina (oppio) che si estrae dal papavero sonnifero.
Fanno parte di questa categoria la codeina, la morfina, gli alcaloidi semi-sintetici, come la nota eroina, e gli oppioidi (prodotti sintetici delle lavorazioni in laboratorio).
L’origine delle due sostanze è, quindi, completamente diversa e lo stesso può dirsi per gli effetti provocati.

Le allucinazioni sono, invece, scatenate da droghe psichedeliche (LSD, funghi magici, ecc…) che offuscano la mente perché rilasciano i cosiddetti agenti serotoninergici.
Queste sostanze si legano ai recettori della serotonina (neurotrasmettitore che invia segnali al cervello) favorendo o inibendo, così, la trasmissione dei messaggi all’encefalo.

La Cannabis non annovera tra i suoi componenti alcuna sostanza serotoninergica e non provoca, perciò, alcuna allucinazione; essa agisce, invece, sul nervo ottico e questo può determinare un appannamento visivo e la comparsa di flash di luce che possono essere, erroneamente, considerati illusioni visive.

 

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